Molte persone quando descrivono le proprie relazioni interpersonali riportano sensazioni di “fagocitamento”, “invasione”, “soffocamento”, arrivano ad un punto in cui sentono che l’altro sta invadendo il loro spazio e si chiedono in che modo possono imparare a rinforzare i proprio “confini”. Credo che la questione di saper proteggere il proprio territorio mettendo adeguati confini sia importante, ma venga come fattore successivo di un altro elemento fondamentale: qual è il mio territorio? Come posso riuscire creare una buona “barricata” se non ho ben chiaro chi sono, cosa voglio e ciò che mi caratterizza?
Quando ci capita di vivere relazioni interpersonali fagocitanti, spesso accade perché per paura di creare conflitti, per timore della reazioni degli altri o per estremo adattamento automatico dimentichiamo chi siamo noi e ci adeguiamo al volere altrui. A volte questo adattamento è talmente rapido che neanche ce ne accorgiamo. Succede però che quella parte di noi, rimasta silente, che ha dei desideri proprio e ben diversi da quelli dell’altro ad un certo punto inizi a farsi sentire, generalmente qualche tempo dopo e in modo “prorompente” (forti stati di ansia, ossessioni, somatizzazioni corporee, abbuffate ecc). A quel punto ci chiediamo: ma come mai quest’ansia o questa gastrite? Non capisco, sta andando tutto così bene!” ecco, quel sintomo è un segnale, un campanello di allarme che ci sta mandando la parte di noi che ha desideri e scopi diversi da quelli dell’altro e che crede di non potersi permettere di farsi sentire a “voce alta”, così si esprime a modo suo. Impariamo ad ascoltarla e a darle voce.
Chiediamoci: sto facendo quello che voglio? Il compromesso a cui sono sceso/a in questa relazione (d’amore, amicizia, lavoro) è eccessivo rispetto a ciò che voglio io? Cosa posso fare per rispettare di più me stesso/a?
Dopo aver esplorato se stessi e ascoltato ciò che alcune parti di noi, silenti, hanno da dirci, è importante saper creare dei buoni confini. Ognuno di noi è diverso e ha un propria soglia di tolleranza, ascoltandola riusciremo a stabilire il giusto limite. Se per paura di essere nuovamente “invasi” ci creiamo dei confini troppo stretti rischiamo di non sentirci liberi ma imprigionati dalle nostre stesse paure. Al tempo stesso confini troppo lassi ci portano a dissipare molte energie e non ci fanno sentire sufficientemente al sicuro. L’assenza di confini ci fa sentire in balia del mondo, ci spostiamo da una parte all’altra senza sentirci veramente appagati. Gli altri tentano di farsi avanti e noi ci sentiamo “invasi” amenochè non siamo forti e riusciamo ad imporci. Può capitare però in questo caso di reagire in modo eccessivo, a causa della sensazione di “esser invasi” e diventiamo noi una minaccia per i confini dell’altro. Spesso ci accorgiamo troppo tardi che l’altro ha invaso il nostro territorio, generalmente perché noi stessi siamo stati ambigui nel definire fino “dove poteva arrivare”. In questi casi reagire mettendosi sulla difensiva poco aiuta, ciò che invece è fondamentale è provare ad ascoltarsi, a sentire il proprio corpo che segnali ci sta mandando.
Ad esempio: “come mi sento dopo l’incontro con quella persona? Sottopressione? Infastidito/a? teso? In Ansia? E il mio corpo come reagisce?”
Il punto è riuscire a individuare il giusto limite tra ciò che mi dà piacere e mi fa sentire bene con me stesso e con l’altro e ciò che invece mi porta a sentirmi “fagocitato” dall’altro.
Se ci pensate accade lo stesso anche per il cibo o per gli hobby. Ho voglia di un pezzo di torta ma dopo averne mangiati tre pezzi inizio a sentirmi nauseato. Il massimo piacere quando lo raggiungo? Ognuno di noi probabilmente risponderà in modo diverso, chi al primo pezzo, chi al secondo ecc, ed ecco il proprio confine sta lì, nel riuscire ad individuare quella sensazione di “sgradevolezza” che il nostro corpo ci manda poco prima di valicare il confine e di sentirsi totalmente nauseati.
Come sottolinea R. Sellin nel suo libro “Le persone sensibili sanno dire di no” (che consiglio a tutti di leggere) non è la mente o il cuore che possono farci “sentire” i nostri limiti. Spesso con la mente ci spingiamo oltre, vorremmo idealisticamente situazioni che magari non siamo in grado di raggiungere in quel determinato momento e dopo ci sottovalutiamo. O al contrario la mente, impaurita, ci blocca creando confini troppo stretti e limitando le nostre possibilità.
L’unico che conosce molto bene i nostri confini è il corpo e ce lo comunica sempre, solo che spesso lo ignoriamo. Provate a pensare a quante volte ci sentiamo stanchi o affamati ma continuiamo imperterriti a svolgere la nostra attività. Oppure quando dopo l’incontro con una persona ci sentiamo un nodo allo stomaco e non capiamo come mai.
Dobbiamo però concederci il tempo di imparare a sentire ed ascoltare il corpo, poiché non è così veloce come la testa. Inoltre se per anni abbiamo ignorato i segnali emotivi che esso ci mandava, ora ci vuole un po’ di tempo per riuscire a sentirlo. Vi faccio un esempio: uscite con una nuova persona e dopo l’incontro tornate con una sensazione di leggere infastidimento che avvertite alla bocca dello stomaco (corpo). Al tempo stesso la testa vi dice: “sei tu che sei il solito permaloso/a, lui/lei non ha fatto nulla di male, tante persone sopportano di peggio!” e il cuore “e poi mi piace tantissimo, l’avrà fatto in buona fede”. In un caso come questo può succedere di non ascoltare minimamente il corpo, non ascoltiamo quella parte di noi che ha provato fastidio e che si farà sentire più avanti, spesso in modo peggiore.
È importante esercitarsi fin dall’inizio di una relazione a sentire con la “pancia”, solo così si può imparare a conoscersi a fondo, rispettando se stessi e gli altri.