“Ormai sono passati quattordici giorni, lui non ce la fa più a lottare,
in certi momenti la Laide non esiste più, non è mai esistita, non la vedrà mai più,
eppure lui ne ha bisogno, senza di lei non può vivere
senza di lei il mondo è vuoto e privo di senso,
come un automa sale nel suo studio, Dio solo sa se riuscirà a farcela con il lavoro,
un giorno o l’altro si renderanno pur conto che lui è un uomo finito.”
(Un amore, Dino Buzzati)
Non è facile dare una definizione esaustiva di cosa sia la dipendenza affettiva poiché può manifestarsi con diverse sfaccettature e presentarsi con forme non sempre coerenti e omogenee tra loro.
Intuitivamente tutti possiamo avere un’idea di cosa si tratta, o per averla sperimentata sulla nostra pelle almeno una volta nella vita o per aver cercato in tutti i modi di rifuggire questa condizione o semplicemente per averne sentito parlare o esserci documentati al riguardo.
Per cercare di definire di cosa si tratta vorrei partire dal testo citato all’inizio dell’articolo, tratto dal romanzo “Un amore” di Dino Buzzati. Innanzitutto perché credo che calandosi all’interno della trama di un romanzo sia più semplice e intuitivo comprendere il concetto e poi perché sento spessissimo parlare di dipendenza affettiva al femminile, mentre in questo romanzo colui che presenta questa “distorsione relazionale” è un uomo. Il romanzo ha come protagonista Antonio Dorigo, un professionista maturo, realizzato e soddisfatto del proprio lavoro ma profondamente adolescente dal punto di vista sentimentale. Un uomo che ha atteso troppo, che troppe volte nel corso degli anni si è controllato e ha evitato esperienze e che alla soglia dei cinquant’anni crede che il sentimento dell’amore sia capace di compiere tutti i miracoli. Si innamora perdutamente di una giovane prostituta, la Laide, cinica e spregiudicata, al punto tale da perdere completamente se stesso, annullarsi per lei. La consolazione che prova ogni volta che incontra la sua Laide è talmente indispensabile che il modo per raggiungerla smette di avere importanza. Arriva a farsi calpestare e manipolare. Come è possibile? E quali sono le dinamiche in gioco?
Possiamo definire la dipendenza affettiva come una dinamica relazionale che implica una distorsione nella rappresentazione di sé e dell’altro e un disequilibrio della risposta affettiva nell’area dell’intimità. Borgioni, nel libro Dipendenza e controdipendenza affettiva, specifica come possano esistere forme molto differenti di dipendenza affettiva, ovvero: dipendenza passiva, codipendenza e controdipendenza. Egli infatti ritiene che si tratti di uno squilibrio relazionale che ha luogo quando la persona non riesce ad integrare, prima di tutto dentro se stessa, le dimensioni di dipendenza-indipendenza, collocandosi in tal modo ad uno degli estremi di questa polarità, spezzando il continuum delle soluzioni relazionali e irrigidendosi in un solo tipo di risposta: aggrapparsi all’altro sottomettendosi o il rifuggire dall’altro scappando o manipolandolo.
In base a questa visione della dipendenza affettiva, sono fortemente dipendenti sia il nostro Antonio che la sua giovane amata, tanto spregiudicata e cinica in apparenza, quanto irrisolta, fragile e terrorizzata dalla vicinanza emotiva, nel profondo.
In questo articolo vorrei concentrami sulla forma “classica” di dipendenza affettiva quella definita da Borgioni “passivo-dipendente” e che troviamo nel protagonista del romanzo di Buzzati.
In questa forma di dipendenza l’altro viene ricercato come unico regolatore del proprio essere. È come se ad un certo punto la persona non fosse più in grado di autoregolarsi e avesse bisogno di un “apporto esterno” per poterlo fare. A questo punto l’altro diventa indispensabile per sedare gli stati d’angoscia, per mantenere l’autostima, la fiducia in se stessi, per garantire la coesione interna, per sentire attrazione, desiderio e passione ma anche odio, rabbia, diventa il polo esclusivo sul quale poter fare confluire tutte le emozioni forti: l’unica ragione per sentirsi vivi ed eccitati.
Il sentimento alla base di questa forma di dipendenza è la paura dell’abbandono, per questo motivo è la separazione , reale o anche solamente immaginata, ciò che teme maggiormente chi presenta questa dinamica relazionale. Una volta legata al proprio oggetto d’amore la persona con questa forma di dipendenza è disposta ad accettare qualsiasi ricatto, maltrattamento o umiliazione pur di non separarsene, al punto da rinunciare ad altre parti di sé, ai proprio bisogni e ai propri valori.
Emblematico è questo stralcio di brano tratto sempre dal romanzo di Buzzati, dove il nostro Antonio sempre più devastato dalla mancanza della Laide fantastica di averla tutta per sé, privandola della propria autonomia:
“Immaginava per esempio che la Laide fosse andata sotto un tram e avesse perduto una gamba. Come sarebbe stato bello. Lei inferma, tagliata fuori per sempre dal mondo della prostituzione, del ballo, delle avventure, non più insidiata da nessuno. Soltanto lui Antonio, ad adorarla ancora. Questa forse l’unica possibilità che la Laide, se non altro per gratitudine, cominciasse a volergli bene”.
La relazione diviene così priva di reciprocità e i ruoli si cristallizzano: il partner dipendente è nella condizione di chiedere continuamente rassicurazione, appoggio e conferme, offrendo in cambio tutta la propria disponibilità pur di garantirsi la vicinanza dell’altro, mentre quest’ultimo, almeno apparentemente gioca il ruolo di quello “forte”.
Ma come accade ad ogni forma di dipendenza, anche il dipendente affettivo diventa presto vittima di un paradosso esistenziale. L’eroinomane ad esempio, ricerca ossessivamente la sua dose e quando gli viene a mancare è raggiunto dal morso dell’astinenza, è spinto a cercare ancora la sostanza ma quanta più ne assume tanta più ne ha bisogno, essa diventerà l’unica sua ragione di vita ma sarà sempre meno appagante e gli sforzi per procurarsela sempre più faticosi ed estenuanti. Questo principio, applicato al caso delle dipendente affettivo significa che egli cercherà, man mano che il rapporto procede nel tempo ad aggrapparsi sempre di più al partner, poiché ha la percezione che l’amore ricevuto non sia mai a sufficienza, ma paradossalmente otterrà sempre meno.
Ma perché accade tutto ciò?
Generalmente chi soffre di questa forma di dipendenza è attratto da persone difficili che hanno difficoltà a vivere una relazione in modo stabile ed equilibrato. Queste persone, tendono quindi ad esserci in modo altalenante, a presentarsi e poi ritrarsi, innescando nel partner dipendente il meccanismo della dipendenza affettiva.
“…Per poter vivere aveva bisogno della Laide ma la Laide non gli apparteneva in alcun modo, la Laide andava e veniva, gli telefonava e non gli telefonava….era insomma un bene incerto e fluttuante sul quale lui non poteva contare. E proprio da tale incertezza venivano il tormento e lo spasimo”.
(D Buzzati, Un amore)
Le persone più stabili ed equilibrate vengono definite “noiose, poco interessanti”. Come mai?
Innanzitutto la scarsa autostima di chi soffre di dipendenza affettiva, li porta a non ritenersi degni di amore. Il nostro Antonio Dorigo è un uomo stimato a livello lavorativo ma con poca stima nei confronti di se stesso come uomo e amante, incapace di amarsi e apprezzarsi nella propria autenticità. Al tempo stesso per una persona così è molto difficile fidarsi di un partner amorevole e stabilmente presente poiché ciò lo espone al rischio di abbandono e questo potrebbe essere un dolore troppo forte da sopportare che potrebbe fare riemergere traumi di delusioni e perdite precoci non pienamente elaborate. Nonostante ciò queste persone hanno il desiderio di essere amate, anzi, il bisogno di riconoscimento e affetto non ricevuto in maniera adeguata e costante durante l’infanzia, li faranno sentire costantemente in debito. Queste persone hanno sempre il sentore che l’altro non li ami a sufficienza, che non sia abbastanza presente e tenderanno a richiedere amore sia in forma lamentosa e passiva oppure in modo più aggressivo e sfrontato.
Questa dinamica non può fare altro che allontanare partner sufficientemente “equilibrati e risolti” favorendo invece l’incontro con persone problematiche. Si tratta ad esempio di persone con tratti sadici o narcisistici (come il personaggio di Laide nel libro di Buzzati). Quest’ultime sono personalità molto seduttive che all’inizio della relazione sentimentale possono promettere molto; chi ha tratti di dipendenza affettiva è attratto da queste personalità poiché vede in loro quell’ostentata indipendenza che tanto vorrebbe possedere ma non riesce ad incarnare. Terminata però la fase della luna di miele, le persone con tratti narcisistici, avendo difficoltà a vivere una piena e profonda intimità, tendono a chiudersi, a fuggire l’intimità emotiva. Il partner dipendente inizierà a diventare sempre più richiestivo ed incalzante, entrando in quella dinamica dove alterna atteggiamenti di dedizione ad altri di protesta impotente.
L’illusione che nutre il dipendente affettivo è quella di poter trovare una persona in grado di salvarlo, di risolvere i suoi dubbi, le sue sofferenze e le sue angosce, in grado di riscattarlo dalle sofferenze ricevute sia durante il periodo dello sviluppo sia durante la vita adulta. Così facendo egli conferisce al partner di turno un enorme potere, il quale diventa delega totale per la sua felicità.
Come affrontare questa forma di dipendenza?
Ciò che manca a chi soffre di questa forma di dipendenza è la capacità di prendersi cura di se stesso in modo sano e profondo. Per potere uscire dalla trappola della dipendenza affettiva bisogna essere disposti a riconoscere che il vuoto che si porta dentro di sé non potrà mai più esser colmato da altre persone! Si tratta di una lacuna antica che risale al tempo dell’infanzia e se il genitore “sufficientemente buono” non è mai esistito, non potrà esser rimpiazzato con un partner. Il dipendente affettivo persevera nella ricerca di un partner perfetto che gli doni quell’affetto e quel riconoscimento che non ha mai ricevuto. La consapevolezza di ciò implica, per queste persone l’accettazione della propria storia di deprivazione e l’elaborazione di una doppia perdita: quella del passato e quella attuale, legata all’illusione di poter trovare un sostituto per ciò che è mancato. L’unico in grado di salvare quel bambino deprivato nell’infanzia è il dipendente affettivo stesso, prendendosi cura in modo sano ed autentico del proprio bambino interiore! Il nostro Antonio Dorigo potrà riconquistare se stesso solo accettando la perdita della propria illusione d’amore, elaborandone il lutto, senza più soste davanti a falsi miti o finte illusioni.
Fonti:
Un amore, Dino Buzzati
Dipendenza e controdipendenza affettiva, Massimo Borgioni
Immagine tratta dal film “Mon Roi” Il Mio Re (2015) di M. Le Besco