Il termine co-dipendenza non è nato in ambito clinico, ma dalle esperienze spontanee delle moglie e delle compagne di uomini alcolisti, le quali si trovavano organizzando i primi gruppi di auto-mutuo aiuto.
Oggigiorno con questo termine si fa riferimento ad una dinamica relazionale particolare che si crea tra un partner che generalmente si definisce “sano” (quello che chiameremo co-dipendente), e un partner che si trova in uno stato di necessità e ha bisogno di aiuto. Quest’ultimo/a può esser un/una tossicodipendente, un alcolista e/o una persona instabile con problematiche relazionali.
In questo articolo vorrei concentrarmi sulle dinamiche interiori del partner co-dipendente, egli ha tutti gli effetti è un “dipendente affettivo” ma il sentimento di base, l’illusione che lo sostiene e la “distorsione” relazionale che lo caratterizza sono diverse da quelle della dipendenza affettiva “classica”.
Anche in questo caso non esistono differenze di genere, nonostante la maggior parte dei libri e del materiale presente al riguardo ha come protagoniste delle figure femminili.
L’aspetto centrale che caratterizza il partner co-dipendente è l’insistenza, a volte la totale negazione e la dedizione con cui si dedica al partner problematico. Questa è la prima differenza rispetto alla forma di “dipendenza classica”. Ci tengo a sottolineare che la realtà è molto complessa e non può essere racchiusa in rigide categorie, per cui una stessa persona può riconoscere in se stessa aspetti attribuibili ad una forma di dipendenza tanto quanto all’altra, anche se generalmente una prevale sull’altra.
Il comportamento della persona co-dipendente è fortemente stereotipato, tanto quanto quello del partner problematico, e segue una sequenza abbastanza fissa di azioni, come un copione che viene reiterato all’infinito, a volte arrivando a perdere il contatto con la realtà.
Il sentimento prevalente del partner co-dipendente è quello della SPERANZA. Questa persona investe tutte le proprie energie per cercare di “salvare” l’altro, per riportarlo entro i binari di un vivere più normalizzato, ed è la speranza che gli consente di credere ad ogni sua promessa di cambiamento, riprendendolo tra le sue braccia quando disperato torna a bussare alla sua porta.
La speranza del co-dipendente a volte raggiunge picchi di maniacalità: “ma come fai a non accorgerti che non cambierà mai? Che quello non è amore…” o “Come fai a non capire che tornerà a bere…o a maltrattarti…” ecc… sono alcune delle frasi tipiche che le persone attorno alla persona co-dipendente potrebbero pronunciare.
La risposta a queste frasi trova la sua origine nelle esperienze precoci che il co-dipendente ha vissuto con le proprie figure di accudimento, o che tali avrebbero dovuto essere. Molto bello, a tal proposito il libro della Norwood di cui ho già parlato nel seguente articolo “Relazioni tossiche: negazione e controllo”. Le donne affette da co-dipendenza descritte dalla Norwood venivano da famiglie con problematiche importanti di dipendenza e con dinamiche molto simili a quelle che loro da adulte reiteravano.
Quindi il legame che caratterizza la relazione del co-dipendente con il partner problematico è sempre mediata dalla CONDIZIONE di BISOGNO. Il partner problematico si trova nella condizione di dover dipendere in toto da qualcun altro e il partner co-dipendente è pronto a fornirgli il proprio aiuto, le proprie cure e tutto il suo amore per salvarlo.
Il vantaggio del primo partner è chiaro, ma qual è il bisogno che viene soddisfatto dal co-dipendente mantenendo questo tipo di rapporto?
Il co-dipendente è un dipendente affettivo e come tale teme profondamente la separazione e l’abbandono da parte del proprio partner, si sente vulnerabile e impotente di fronte alla SOLITUDINE, motivo per cui non riesce a vivere serenamente i rapporti. Questo è il nucleo centrale del co-dipendente, il quale di solito ha sempre qualcuno a cui deve pensare, qualcuno cui farsi carico sia materialmente o anche solo a livello di fantasia salvifica. In questo modo egli compensa la propria PAURA di fondo, il vuoto e la solitudine.
Ed ecco una prima grossa differenza tra il partner co-dipendente e il partner dipendente “classico”: mentre quest’ultimo compensa la propria paura aggrappandosi all’altro, il partner co-dipendente la compensa cercando di salvare l’altro. Entrambi cercano di avere il CONTROLLO sul partner ma con strategie di coping molto differenti. Controllare l’altro, per entrambi, significa incrementare l’illusione di possederlo, di gestirlo, di trattenerlo a sé.
Ora è più facile comprendere come mai il co-dipendente tende a legarsi a partner problematici: legandosi a partner in uno stato di bisogno ritiene di aver risolto il suo problema con la solitudine “da me tornerà sempre, poiché lui/lei ha troppo bisogno di me! Come lo capisco io non lo capisce nessuno”, potrebbe essere una delle frasi che il co-dipendente si dice nel profondo. E questo è anche uno dei motivi per cui i tossicodipendenti inizialmente aiutati dal proprio partner fanno passi da gigante ma poi sono punto e capo e reiterano sempre la stessa dinamica. Il partner co-dipendente infatti, senza rendersene conto, ha bisogno che l’altro permanga in una situazione di bisogno!
La distorsione relazionale che caratterizza il partner co-dipendente è ben diversa da quella del dipendente “classico”. Il co-dipendente idealizza il proprio partner problematico tanto quanto il partner dipendente “classico” ma al tempo stesso idealizza anche se stesso.
Il partner problematico viene visto dal co-dipendente come una persona molto valida, carica di grandi possibilità e in grado di esprimere parti molto positive di sé a patto però che smetta di bere o di drogarsi o a patto che raggiunga maggior stabilità. Al tempo stesso il co-dipendente idealizza la propria tendenza salvifica, il proprio martirizzarsi per l’altro, questa sua lotta per cambiare il partner è motivo di ORGOGLIO PER SE STESSO. Ed è proprio questo meccanismo che crea la distorsione relazionale e che crea il doppio legame tra i partner, una “follia a due”.
Quando il partner dipendente “classico” di accorge di essersi sottomesso al partner, prova rabbia esplode, sbotta e se non sufficientemente risolto chiede scusa e il ciclo ricomincia. Il partner co-dipendente invece va fiero della propria pazienza, della propria capacità di sopportazione, proprio perché in quei momenti si innalza un gradino sopra al partner problematico. Per il co-dipendente cedere, sbottare arrabbiarsi determinerebbe un crollo dell’autoimmagine, un fallimento. Una forma di narcisismo? Probabilmente si.
Per questo è molto difficile il lavoro sulla co-dipendenza, egli/ella è necessario riconosca non solo l’idealizzazione dell’altro ma anche quella di se stesso/a. Il punto critico è proprio questo: riconoscere che nell’altro si sta vedendo un valore che probabilmente al momento attuale non esiste e al tempo stesso si sta idealizzando il proprio essere “martire”.
La “follia a due” tra il partner co-dipendente e il suo partner problematico spesso prende le sembianze di quella dinamica perversa che Karpman chiama “triangolo drammatico” dove i partner si alternano i ruoli di vittima, salvatore e persecutore e dove il meccanismo omeostatico della coppia è costituito dal bilancio reciproco della manifestazione del disagio: ovvero quando uno migliora l’altro incomincia a peggiorare e viceversa!
Generalmente accade questo: il partner problematico, nel ruolo della vittima lancia un grido di aiuto, il partner co-dipendente lo accoglie e offre il suo amore nel ruolo di salvatore. In questo momento il co-dipendente avverte il partner cambiato, migliorato e il partner problematico ce la mette tutta per rialzarsi, con promesse e spergiuri. Per un breve periodo la situazione raggiunge un buon equilibrio e le promesse vengono mantenute. Poi il craving per la sostanza e/o le dinamiche di instabilità interna del partner problematico tornano a farsi sentire ed egli inizia a mentire e ad allontanarsi dal partner co-dipendente. Quest’ultimo inizia a insospettirsi, si sente preso in giro, raggirato e sempre più solo: spesso scoppia la lite. Ecco che la vittima di un tempo è diventato un persecutore spietato e senza cuore e il co-dipendente da salvatore si è trasformato in vittima. I due partner magari si separano, il partner problematico in questa fase si illude di poter fare a meno dell’altro, mentre il co-dipendente cade nella propria solitudine e soffre. Poi una volta toccato il fondo il partner problematico cerca nuovamente il co-dipendente, o cercando di mostrarsi diverso e maturato o devastato e in cerca di supporto. Egli/ella lo accoglie nuovamente tra le sue braccia e il ciclo ricomincia.
Purtroppo si tratta di un’illusione, questa favola non conosce lieto fine e nessuno dei due insieme potrà salvarsi!
Cosa potrebbe fare allora il partner co-dipendente per salvare se stesso?
Il primo passo consiste nell’accettazione profonda della propria storia di DEPRIVAZIONE EMOTIVA, riconoscere ed elaborare il fatto che il partner problematico non è altro che uno specchio di una figura del proprio passato, un genitore, un fratello, un parente, al quale si è stati molto legati e che si è cercato di rianimare con le proprie cure infantili.
Segue il riconoscimento che il passato non potrà mai essere riscattato dal presente e ciò richiede la rinuncia all’idealizzazione della propria tendenza salvifica.
Smettere di credere ad una bellissima illusione è doloroso! Potreste chiedervi.
Si tantissimo, ma è solo attraverso l’elaborazione del proprio dolore che il co-dipendente potrà riscattare se stesso. Solo in questo modo smetterà di occuparsi del dolore degli altri e prenderà seriamente in considerazione il proprio! Smetterà di essere genitore illusorio di un partner problematico eternamente adolescente e diventerà genitore maturo del proprio bambino interiore deprivato! A questo punto non avrà più bisogno di compensare la propria solitudine e il proprio vuoto, dispensando cure ed energie verso partner distruttivi.
Potreste chiedervi: ma due partner di questo tipo, se modificano le loro dinamiche possono continuare a rimanere insieme?
È molto difficile.
Perché ciò avvenga il co-dipendente deve poter credere nel profondo di farcela da solo, anche senza il partner! Deve riuscire ad andare oltre il “Io ti salverò!” o “Io ci sono a patto che tu sia…”. L’accettazione profonda consiste nel sapere accettare un individuo così com’è, senza immaginare una felicità futura in seguito a cambiamenti, manipolazioni, coercizioni. Il partner problematico invece deve esser sufficientemente risolto da riuscire a prestare attenzione al bene dell’altro, andando oltre il proprio “egocentrismo”. Deve riuscire a vedere l’altro “come altro da sé” e non solo come contenitore delle proprie sofferenze o come accuditore nei momenti di sofferenza e vuoto. Ed è molto difficile che ciò accada su un piano di realtà continuando a stare insieme. Il rischio di scivolare anche inconsapevolmente nelle vecchie dinamiche è molto alto.
Borgioni, nel suo trattato sulla co-dipendenza scrive “il principe celato da un cattivo incantesimo nelle sembianze del mostro, resterà sempre un mostro, e non sposerà la bella, che a sua volta non diventerà mai una principessa: non vi sarà metamorfosi, non avrà luogo alcuna trasfigurazione, nessuna illusione sarà trasponibile sul piano di realtà”.
Egli infatti ritiene che di regola, l’unico riscatto possibile per questi partner sia di tipo individuale: entrambi possono salvarsi ma ciò avverrà solo se riusciranno a separarsi realmente, ciascuno seguendo il proprio percorso di consapevolezza, rinunciando alle rispettive “illusioni di onnipotenza”.
FONTE:
Borgioni: Dipendenza e Controdipendenza affettiva
Norwood: Donne che amano troppo