Recentemente ho terminato di leggere il libro di Alice Miller “Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sè” lo consiglio vivamente a tutti, addetti ai lavori e non. L’ho trovato magnifico soprattutto per la semplicità con cui riesce ad esprimere e spiegare varie dinamiche tra cui quelle della violenza e dell’aggressività. Cercherò di sintetizzarne i punti principali.
Il concetto cardine espresso dalla Miller riguarda i traumi che subiti nell’infanzia e rimossi dalla nostra consapevolezza vanno quotidianamente ad influenzare la nostra vita, le persone con cui ci rapportiamo e la nostra società. Con il termine di “trauma” l’autrice non si riferisce esclusivamente a bambini cresciuti in contesti di grave deprivazione emotiva, picchiati e molestati. Rientrano nella casistica anche quei bambini i cui genitori, a loro volta con insicurezze infantili irrisolte, si sono rapportati a loro con: freddezza, iper-criticismo, mancanza di empatia, iper-accudimento, sarcasmo, intrusività ecc.
Un bambino per crescere sano e con un buon equilibrio psicologico ha bisogno di avere una figura di riferimento che si prenda cura di lui e che soddisfi non solo i suoi bisogni fisiologici ma anche il bisogno di calore emotivo, di empatia e di protezione. I bambini hanno bisogno di persone che li aiutino ad orientarsi nella vita, senza per questo sostituirsi a loro.
La normale reazione di un bambino ogni qual volta un suo bisogno basilare viene frustrato è quella di ira o di pianto. Ma cosa succede se il genitore, convinto del proprio comportamento ignora le reazioni del figlio? Vi faccio un esempio, immaginate un padre molto “giocherellone” che si diverte a spaventare il figlio di pochi anni fingendo l’arrivo dei mostri. Il genitore è convinto di giocare, il figlio reagisce con turbamento e piange. A quel punto il padre, reiterando una dinamica automatica e appresa nel suo passato esordisce “Bè ma non ti metterai mica a piangere per questo scherzetto! Che pauroso!”. Ed ecco che il figlio un po’ alla volta impara a reprimere le proprie emozioni, a castrarsi pur di garantirsi l’approvazione e la vicinanza del proprio genitore(“Non è papà che sbaglia ma sono io ad esser troppo pauroso”). Il padre stesso probabilmente da bambino è stato vittima del medesimo trattamento e ormai ignaro delle emozioni represse possiede in memoria il ricordo di un genitore idealizzato e giocherellone.
Attenzione però, i sentimenti di rabbia, di paura, di impotenza e di dolore vissuti in passato e successivamente scissi e repressi non spariscono, ma continuano ad esprimersi e ad influenzare tutta la nostra vita attraverso atti distruttivi nei confronti di altre persone (criminalità, omicidi, stermini), attraverso comportamenti di aggressività (passiva e non) verso i propri figli (freddezza, ipercriticismo, svalutazione, umiliazione) e/o contro se stessi (sintomi psicologici, dipendenza da sostanze, suicidi).
L’aspetto più tragico sul quale si sofferma la Miller è che si arriva a picchiare o fare soffrire i propri figli pur di non prendere atto di ciò che hanno fatto i propri genitori.
In che modo un bambino dall’infanzia infelice può salvarsi?
Può salvarsi e quindi evitare sia la strada della devianza sia quella della sofferenza psichica, solo se durante il suo percorso di crescita incontra almeno una persona disposta ad ascoltarlo, a sintonizzarsi con la sua emotività, disposta a guardare il mondo con gli occhi di quel bambino. Questa persona farà sentire il bambino al sicuro, trasmettendogli il messaggio che “sbagliato” non è lui o il suo sentire ma i messaggi educativi e i comportamenti a cui è stato sottoposto.
I bambini che durante l’infanzia hanno ricevuto un livello sufficientemente buono di cure ed attenzioni diventeranno adulti ricettivi, intelligenti ed empatici. Non avranno bisogno di fare male agli altri per difendersi o per rimarcare il proprio valore, non diventeranno violenti nè verso gli altri nè tanto meno verso se stessi.
Coloro che purtroppo non riescono a salvarsi diventeranno adulti che immedesimandosi con gli aggressori di un tempo riverseranno le violenze subite sugli altri, magari proprio sui più piccoli. Oppure potrebbero diventare adulti incapaci di difendersi che continueranno ad autodistruggersi così come hanno appreso in passato dal proprio genitore. Potrebbero diventare persone instabili, che alternano atteggiamenti di aggressività eterodiretta con atteggiamenti autodistruttivi.
In realtà credo sia fondamentale ricordare a tutti coloro che non hanno avuto la fortuna di un’infanzia sufficientemente buona che c’è sempre qualcuno che potrà guardare con occhi diversi quel bambino che eravamo, quel qualcuno siamo noi, il nostro adulto. Probabilmente se stiamo soffrendo e o facciamo soffrire gli altri, non stiamo facendo altro che ignorare il nostro bambino interiore, rapportandoci a lui così come gli adulti hanno fatto con noi. Possiamo imparare ad ascoltare il bambino che è in noi, empatizzare con lui, prendercene cura, colmare le lacune e di conseguenza cambiare comportamento nei confronti di noi stessi e degli altri. Ovvio non potremo mai recuperare l’infanzia perduta ma così facendo possiamo acquisire maggior consapevolezza, equilibrio e creatività.
FONTI
Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sè, A. Miller, Bollati Borighieri (1996).