L’autoinganno: negare le proprie emozioni

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L’autoinganno: negare le proprie emozioni

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“Se i fatti non coincidono con la realtà tanto peggio per i fatti”.

Con questa frase Hegel faceva riferimento a quel fenomeno tipicamente umano in base al quale invece di cercare eventi che possano confutare una determinata teoria o pensiero, si fa di tutto per trovare prove  in grado di confermare le proprie convinzioni, anche se esse non sono “corrette” o non ci fanno stare bene. A volte per paura di dover mettere in discussione alcune nostre rigide convinzioni o per paura di dover discutere e perdere l’altro rischiamo di perdere o tradire noi stessi, arrivando a negare il nostro vissuto emotivo, attraverso l’autoinganno.

In che modo l’autoinganno ci può portare a negare l’evidenza dei fatti?

Vi faccio un esempio. Giulio è un ragazzo di 30 anni il quale riferisce di aver un rapporto fantastico con la propria madre nonostante in passato ci siano stati tra di loro alcuni dissapori. Ritiene che la situazione sia stata affrontata e che al momento il loro rapporto sia buono. Ogni volta che Giulio mi parla di sua madre descrive un rapporto sereno e piacevole. Anche quando chiedo di raccontarmi i litigi legati al passato minimizza l’accaduto e quando gli chiedo come si sente nel parlarmene afferma “bene, ormai è tutto passato”. Non posso fare a meno di notare che lo sguardo di Giulio si rattrista e la sua espressione facciale esprime un’emozione di fastidio e risentimento ogni volta che inizia a parlare della madre. Le prime volte che ho chiesto a Giulio che cosa sentiva a livello corporeo mentre mi parlava della madre, lui mi rispondeva che si sentiva tranquillo, forse un po’ irritato e sotto stress a causa dell’intensa giornata lavorativa, non di certo per gli episodi passati rievocati. Con il procedere della terapia Giulio si è accorto di esser ancora molto arrabbiato nei confronti della propria madre, al tempo stesso ci siamo insieme resi conto che una parte di lui si stava autoingannando, cercando di negare ciò che provava e attribuendo ad altri fattori la causa del proprio risentimento.

Perché accade questo? Per quale motivo Giulio non può permettersi di riconoscere la propria rabbia?

Permettersi di ascoltarsi e riconoscere il proprio vissuto emotivo può portare a diverse conseguenze, soprattutto in base ai pensieri e alle emozioni che proviamo nei confronti del nostro vissuto emotivo. Ad esempio, per Giulio, riconoscere di esser ancora arrabbiato con la propria madre potrebbe voler dire non aver completamente “buttato il passato alla spalle” come pensava invece di aver fatto e ciò potrebbe farlo sentire INCAPACE e IMPOTENTE. Quindi la negazione della rabbia sarebbe apparentemente necessaria  a Giulio per allontanare dalla propria consapevolezza la sensazione di impotenza. Ogni persona è diversa dall’altra e le motivazioni alla base dell’autoinganno possono essere varie. Un’altra ipotesi potrebbe riguardare il fatto che riconoscere la rabbia provata nei confronti della madre potrebbe portare Giulio a dover mettere in discussione il comportamento che oggi lui ha verso di lei e ciò potrebbe generargli PAURA.

Qualunque sia il motivo di solito alla base della negazione e dell’autoinganno c’è il non voler sentire delle emozioni che ci generano paura, vergogna, tristezza, senso di colpa ecc.

Quando accade ciò l’interlocutore che pone le domande viene percepito come fastidioso ed aggressivo e la reazione che abbiamo è quella di chiuderci e/o rispondere in modo vago. Tale chiusura può generare irritazione nel nostro interlocutore il quale può effettivamente diventare più incalzante.

Ma che senso ha dover riconoscere certe emozioni del nostro passato, se il fatto di parlarne ci infastidisce e ci fa stare male?

Il passato è già andato e non lo possiamo cambiare. Possiamo però impedire che il nostro passato influenzi il nostro futuro. Dobbiamo precisare alcune cose: un evento si caratterizza per un insieme di fatti e per il vissuto emotivo associato a quei fatti. Quando un evento con la sua corrispondente componente emotiva è stato elaborato e “digerito” diventa effettivamente passato a tutti gli effetti. Ci sono invece degli eventi che possiamo considerare appartenenti al passato per quanto riguarda i fatti che li caratterizzano ma che non sono stati pienamente elaborati dal punto di vista emotivo. In questo caso non riusciamo ad archiviare effettivamente l’evento come “passato”: a livello razionale ci sembra di aver “voltato pagina” ma quelle emozioni che non sono state pienamente elaborate ed ascoltate continuano a condizionare il nostro presente. Lavorando quindi su quelle emozioni stiamo lavorando sul nostro PRESENTE e sul nostro FUTURO. Per farvi un esempio concreto possiamo ritornare alla storia di Giulio. Tutta la rabbia non elaborata che Giulio continuava a provare nei confronti della madre andava ad influenzare il suo rapporto con le donne ed era uno degli aspetti alla base della sua instabilità relazionale, motivo principale per il quale era arrivato nel mio studio.

Un altro aspetto sul quale credo sia importante soffermarsi riguarda l’investimento energetico necessario per sopprimere le emozioni e non sentirle. È come se dentro di noi ci fosse sempre qualcosa di bollente che pur essendo caldo noi abbiamo imparato automaticamente a non sentire, con il rischio che il calore aumenti sempre di più fino allo scoppio. Il “non sentire” con il tempo può essersi automatizzato ma richiede comunque un grosso investimento energetico. Le esperienze del nostro passato che sono state elaborate diventano mattoni e fondamenta della nostra personalità. Come possiamo avere un senso di sé solido e coeso se ci sono esperienze del nostro passato che continuano prepotentemente ad influenzare il presente? Non sentire cronicamente emozioni  importanti ci costringe a bruciare tante energie e ci impedisce di esser padroni di noi stessi.

Immagine di: Patty Maher

 

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