I vostri figli non sono i vostri figli
Sono i figli e le figlie della fame che in se stessa ha la vita
Essi non vengono da voi ma attraverso di voi
E non vi appartengono benchè viviate insieme
Potrete amarli ma non costringerli ai vostri pensieri
Potete custodire i loro corpi, ma non le anime loro
Poiché abitano case future, che neppure in sogno potrete visitare
(Gibran, Il profeta)
Il modo in cui ci relazioniamo in età adulta al nostro partner sia esso uomo o donna, dipende in parte da come ci siamo relazionati nei primi anni di vita con la nostre figure di attaccamento. Per comprendere che cosa ci è mancato e quale sia stato il nostro “oggetto d’amore” occorre tornare indietro e ripercorrere il tracciato, a volte tortuoso, dello sviluppo sessuale. Le tappe di questo tracciato sono costituite dal soddisfacimento, attraverso una relazione sufficientemente armoniosa, dei bisogni primari.
In questo articolo e in quelli che seguiranno cercherò di descrivere in che modo differenti dinamiche relazionali tra genitori e figli durante le prime fasi di vita possano influenzare le dinamiche di coppia relazionali intraprese nella vita adulta.
Una classificazione della figura materna e paterna che privilegi un solo tratto dominante o alcune caratteristiche molto appariscenti rischia di diventare semplicistica rispetto all’innumerevole gamma di comportamenti umani.
Facendo riferimento agli studi di Verde e Pallanca possiamo identificare a grandi linee tre tipi di genitori: reali, immaginari, bambini.
I genitori reali sono quelli che gli autori definiscono madre FATA e padre MAGO; essi rappresentano genitori in grado di conferire sufficiente stabilità al figlio rispettandone i bisogni, la personalità e le scelte; sono presenti per aiutarlo e offrirgli strumenti di crescita che permettono alla sessualità e competitività del figlio di raggiungere un buon equilibrio in età adulta.
I genitori immaginari invece sono quelli che hanno subito, durante la fase evolutiva, la frustrazione massiccia di alcuni bisogni primari. Ciò ha impedito loro di sviluppare in modo armonico la capacità di prendersi cura dei propri figli: questo tipo di genitori tende a proiettare sul bambino i propri bisogni, il figlio rappresenta quindi per certi aspetti se stesso bambino. Il figlio quindi può esser erroneamente investito di bisogno che non gli appartengono ma che appartengono al genitore, il quale attraverso l’identificazione con il figlio, cerca di curare inconsciamente il proprio bisogno frustrato nell’infanzia.
Infine i genitori bambini sono quelli che hanno subito una ferita infantile più grave, al punto tale da non riuscire a immedesimarsi nemmeno a livello “immaginativo” nel ruolo di genitori: quando diventano genitori sono fortemente centrati sul loro bisogno insoddisfatto.
La madre
Quella che possiamo definire madre FATA non è una madre perfetta, ma una madre sufficientemente pronta nel consolare, aiutare ed educare anche con fermezza il proprio figlio, è una madre flessibile, capace di adattarsi ai tratti temperamentali del figlio, senza invalidarlo eccessivamente. La madre fata è allo stesso tempo normativa in quanto consapevole che al bambino vanno posti ostacoli adeguati all’età e proporzionati alla soglia di resistenza alla frustrazione e oblativa perché capace di mettere il figlio ed i suoi bisogni al primo posto, senza per questo tramutarsi in una madre-sacrificale che si sente schiava del figlio e rinfaccia i sacrifici fatti. Si tratta di una madre che a sua volta ha soddisfatto i suoi bisogni primari sia nel periodo infantile che in quello adolescenziale ed ha mantenuto, durante la gravidanza, il suo ruolo di donna. In questo caso il primitivo bisogno di attaccamento diventa, al momento in cui vede il figlio, bisogno di proteggere.
Essere madre implica due passaggi:
- La realizzazione del sé come donna e quindi la capacità di unire la linea della tenerezza a quella della competitività;
- L’accettazione di un ruolo biologico e sociale che può, per un periodo abbastanza lungo, essere in netto contrasto con la prima fase.
I due passaggi sono legati alla storia personale della donna, principalmente ai suoi rapporti con la madre e alla relazione con il partner.
Un’altra posizione che la madre può assumere in relazione al figlio è stata denominata madre FIL DI FERRO: sotto questa denominazione comprendiamo tutti i comportamenti di una persona in “stato di bisogno” che si situano lungo un continuum che va dal totale rifiuto del bambino ad un comportamento normativo rigido che si riferisce ad un modello educativo autoritario che non può esser messo in discussione. Non si tratta di una madre “cattiva” ma di una figura che a causa di una ferita irrisolta ha sviluppato piani relazionali rigidi e autoreferenziali che difficilmente vengono flessibilizzati sulla base delle caratteristiche o del temperamento dei figli.
L’altra posizione che la madre può assumere, opposta alla precedente è quella definita madre MORBIDA: sotto questa denominazione gli autori comprendono tutti i comportamenti di una persona in “stato di bisogno” che si situano lungo un continuum che va dal tentativo di mantenere un rapporto fusionale con il figlio ad un atteggiamento eccessivamente oblativo e “sacrificale”.
Entrambe queste madri a loro volta hanno subito nell’infanzia l’invalidazione di alcuni bisogni primari e tale frustrazione non ha consentito alla loro “parte bambina” di maturare completamente. Ciò porta queste madri a seconda del livello di frustrazione subita ad oscillare tra il ruolo di genitore-bambino e quello di genitore-immaginario. Ad esempio una madre ansiosa o infelice con angosce riguardanti la sua capacità di essere una buona madre, può trasmettere al bambino, attraverso il tono muscolare segnali di pericolo. Un neonato con una madre troppo “rigida” verrà alimentato in modo poco flessibile poiché la madre si sentirà sicura solo se segue alla lettera la quantità di latte e gli orari prescritti dal pediatra. Al contrario una madre morbida potrebbe cercare di rimpinzare il figlio anche quando è sazio per motivi disparati. Entrambe queste madri non sono sintonizzate con i bisogni del figlio.
La madre fata non è una madre perfetta, può anche essere una madre che nell’infanzia ha subito la frustrazione di alcuni bisogni primari ma che attraverso un lavoro su di sé è stata in grado di dare un significato alla propria storia, di dare un nome ai propri bisogni frustrati e di modificare il proprio comportamento in base ai bisogni del bambino, dandogli gli strumenti, ogni volta diversi, necessari alla sua crescita.
Fonte: Illusioni d’Amore, Le motivazioni inconsce nella scelta del partner, Verde e Pallanca.