Luca ha cinquantacinque anni, è sposato e ha un figlio di quasi trent’anni già avviato dal punto di vista lavorativo. Lui stesso lavora come amministratore delegato di una grande azienda. Fin da piccolo si è sempre sforzato di esser il migliore. Oltre a prendere i voti più alti a scuola e all’università, era uno dei migliori anche negli sport.
Da qualche tempo Luca ha l’impressione di non esser più quello di una volta, di perdere qualche colpo, soprattutto per quanto riguarda le prestazioni lavorative. Nell’azienda in cui lavora sono arrivati alcuni giovani colleghi molto brillanti e intelligenti con i quali lui è da subito entrato in competizione. Per ovviare a tali mancanze si dà ancora più da fare, ma la situazione non cambia: lui si sente sempre più affaticato e sovraccaricato e ha la percezione che i giovani colleghi gli rendano la vita un inferno. A volte quando gioca a tennis con il figlio non sopporta di perdere, nonostante abbiano tanti anni di differenza e il figlio sia nel pieno della sua forza fisica.
Luca per sentirsi soddisfatto di sé stesso e avere una “buona autostima” ha bisogno di sentirsi nel range superiore alla norma, in un numero elevato di attività sociali. Presenta quella che in psicologia cognitiva viene chiamata illusione del decatleta, ovvero la sua vita è regolata dall’ambizione di un decatleta: deve raggiungere prestazioni eccellenti in una molteplicità di aree. Si tratta purtroppo solo di un’illusione poiché incrementare la propria performance in un’area comporta fisiologicamente il peggioramento altrove!
Luca vorrebbe sempre essere in grado di fare tutto e fa fatica ad accettare il calo di forze fisiologico sia a livello fisico che mentale. Ad un certo punto ha temuto il peggio e si è sottoposto ad una serie di esami medici che tuttavia hanno riscontrato una forma smagliante per un uomo della sua età. Al tempo stesso, lamentando difficoltà di memoria si è rivolto anche ad un neurologo il quale ha escluso qualsiasi complicanza neurologica. Come se non bastasse lo stress dovuto all’iper-carico lavorativo e alla preoccupazione infondata per la sua salute hanno creato un circolo vizioso di forte preoccupazione, che a sua volta ha influenzato la sua vita privata, provocandogli occasionali problemi di impotenza.
Questo fa emergere il suo problema di fondo: il timore di aver perso il proprio valore, il TIMORE DI FALLIRE, di esser diventato una nullità, ciò che infatti egli si ripete da una vita è “chi non è il numero uno fa schifo! Non ha valore, non esiste”.
Ma come è arrivato Luca e pensare tutto ciò? E cosa lo ha spinto nell’impresa di primeggiare sempre, a costo di soffocare le proprie emozioni?
La famiglia e la scuola esercitano un’influenza determinante sulla capacità dei bambini di apprendere e farsi valutare con gioia o con ansia costante. Se i genitori hanno pretese molto alte nei confronti dei figli, la paura di fallire può comparire già durante l’infanzia. Il messaggio che alcuni genitori trasmettono ai propri figli, spesso inconsapevolmente è “ti voglio bene solo se dai il massimo e raggiungi certi obiettivi”. Questo messaggio spesso viene trasmesso in modo implicito, attraverso frasi quali “non sei capace”, “non ci riesci”, sei imbranato”, potevi fare molto di più”, “sei stupido per capirlo”. Questi messaggi non aiutano il consolidarsi di una solida autostima e i figli crescono soffocati dalle continue pretese dei genitori. A volte i messaggi trasmessi dai genitori ai figli, diventano parti che i figli interiorizzano e le frasi che i genitori dicevano loro da piccoli continuano a ripetersele automaticamente per tutta la vita.
I genitori di Luca raramente hanno mostrato una sana empatia nei suoi confronti ed egli si trovava spesso a casa da solo; i genitori di Luca lo riempivano di complimenti, lo consideravano e lo lodavano quando portava a casa da scuola voti alti o quando primeggiava nello sport. Quando invece tornava dal parco giochi sporco di terra ma felice per aver giocato con gli altri bambini, la mamma di Luca si infastidiva ed era capace di non rivolgergli la parola anche per tutto il giorno. Luca non sceglie di essere il migliore, Luca è costretto a primeggiare per poter esser considerato dai genitori e per evitare di esser criticato aspramente.
Capita spesso che i genitori trasmettano ai figli sei messaggi standard che, oltre ad aumentare l’ansia da prestazione e la paura di fallire, finiscono per accompagnare i figli tutta la vita:
- “Devi dare sempre il meglio” un messaggio del genere non dice quando un risultato possa considerarsi sufficiente. Di conseguenza i bambini hanno sempre l’impressione di aver fallito l’impresa. Non c’è traccia di riconoscimento e ricompensa, il messaggio che passa è “Avresti potuto fare di meglio!”. Da adulti questi bambini rischiano di sviluppare quella che viene chiamata dinamica narcisistica ovvero per poter esser soddisfatti di se stessi devono continuamente incrementare la propria prestazione o autoimmagine, soprattutto quando paragono il risultato raggiunto attualmente con quello passato.
- “Fallo per me!” il messaggio che in questo caso il genitore trasmette è che una cosa è fatta bene se si soddisfano le aspettative degli altri. Il bambino ben presto apprende di deludere fortemente i genitori ogni volta che non si dimostra all’altezza delle loro aspettative. Questo messaggi possono portare i figli a negare se stessi e a sviluppare quello che in clinica viene chiamato “falso sé”. In età adulta questi bambini rischiano di diventare adulti molto performanti, magari eccellenti e con una buona posizione lavorativa ma totalmente disconnessi dai propri desideri più autentici, costretti ad indossare una maschera, alla ricerca continua di riconoscimento e apprezzamenti.
- “Cerca di controllarti! Sii forte” in questo modo si trasmette il messaggio che provare paura ed esprimerla non va bene. È bene soffocarlo o comunque non mostrare le proprie emozioni. L’obiettivo principale diventa sopportare tutto a denti stretti. La paura di non farcela non può che essere la naturale conseguenza quando i figli non corrispondono a questo modello.
- “Sii rapido e veloce! Sbrigati!” il riuscire di per sé a svolgere un compito non basta a ottenere un riconoscimento. Sforzandosi di essere più rapido il bambino rischia di commettere più errori o di agire sottopressione, e quando effettivamente gli capita di sbagliare riemerge la paura di deludere i genitori.
- “Devi puntare alla perfezione” l’ordine di svolgere tutto in modo impeccabile genera la paura di fallire ogni volta che si intraprende un’attività. Osservazioni del tipo: “non è possibile non saper fare una cosa del genere!” portano il bambino a sviluppare un’irrealistica tendenza al perfezionismo.
Crescendo e con il passare del tempo, i figli interiorizzano le convinzioni dei genitori e ripetono a se stessi proprio ciò che i genitori dicevano a loro da piccoli. Come nel caso di Luca, quando sono costretti a confrontarsi co n un insuccesso, tendono a biasimarsi e non se lo perdonano.
Fonti:
Vincere la paura del fallimento (Hans Morschitzky)
I disturbi di personalità, modelli e trattamento (Di Maggio, Semerari)