Per perdersi ci si deve prima possedere ma solo se ci si perde ci si può riconquistare. (Lowen)
Nei precedenti articoli si è parlato di varie forme con le quali può manifestarsi la dinamica relazionale conosciuta con il termine di dipendenza affettiva.
In questo articolo vorrei soffermarmi su alcune importanti riflessioni che spero possano essere di aiuto a tutti coloro che si ritrovano a vivere dinamiche di questo tipo.
Abbiamo definito la dipendenza affettiva come una dinamica relazionale che implica una distorsione nella rappresentazione di sé e dell’altro e un disequilibrio della risposta affettiva nell’area dell’intimità. Questo squilibrio relazionale ha luogo quando la persona non riesce ad integrare, prima di tutto dentro se stessa, le dimensioni di dipendenza-indipendenza, collocandosi in tal modo ad uno degli estremi di questa polarità, spezzando il continuum delle soluzioni relazionali e irrigidendosi in un solo tipo di risposta: ad esempio aggrappandosi all’altro e/o sottomettendosi pur di evitare l abbandono. Abbiamo visto che i comportamenti possono esser molto diversi tra le varie forme di dipendenza affettiva (dipendenza “classica”, codipendenza, dipendenza conflittuale).
C’è pero un sentimento di fondo che accomuna tutte le forme di dipendenza affettiva: la paura della solitudine. Spesso queste persone durante l’ora di terapia passano la maggior parte del proprio tempo parlando del partner: di ciò che di lui/lei non sopportano, di ciò che sono costretti a subire e/o delle caratteristiche del partner uniche e speciali. L’altro diventa un regolatore dei propri stati mentali e della propria autostima, necessario per garantire una sorta di omeostasi interna. Cosi facendo non riescono a definire se stessi in assenza dell’altro e impediscono alla propria autenticità e creatività di esprimersi.
Se vi ritrovate in queste dinamiche vi chiedo di provare a fermarvi un attimo e porvi alcune semplici domande:
1) Prova a guardarti dentro, cosa vedi nel tuo partner di così speciale? Quali qualità possiede che non si può fare a meno di amare?
Molte persone invischiate nelle dinamiche della dipendenza affettiva non sanno cosa rispondere. Probabilmente trovano il proprio partner interessante, affascinante o potente ma dal punto di vista umano spesso riconoscono quanto sia pieno di difetti e quanto non sia effettivamente la persona che vorrebbero al proprio fianco. Eppure, dicono “non riesco a fare a meno di amarlo”.
Provate a chiedervi “ma amo lui con tutte le sue caratteristiche o solo la sua immagine idealizzata?
2) Se provi a non pensare costantemente al tuo partner e ai problemi della vostra relazione, ma provi a concentrati solo su quello che sei tu e su ciò che provi tu a prescindere da lui/lei, che cosa provi?
La risposta di solito è preoccupazione, ansia e piu nello specifico PAURA.
Ma provate a stare in contatto con questa vostra emozione, provate a tollerarla e a chiedervi “cosa temo esattamente? Di cosa ho cosi tanta paura da arrivare ad annullare me stesso per l’altro?”
C è qualcosa da cui state fuggendo, che temete piu di qualsiasi altra cosa, che non volete ne vedere ne sentire. Generalmente si tratta della solitudine, si tratta della paura di esser soli con se stessi.
Chi soffre di dipendenza affettiva purtroppo non ha appreso nell’infanzia la sana capacità di stare solo, di saper tollerare la propria solitudine, per questo in età adulta cade vittima di tali dinamiche.
Ma non disperate.
Possiamo impararlo da adulti, possiamo imparare a tollerare la nostra solitudine, farle spazio e lasciarci guidare dai desideri personali che un po’ alla volta affioreranno. È grazie alla capacità di stare da soli con noi stessi che possono svilupparsi le parti di noi più creative ed autentiche.
La paura ci porta ad ingigantire e ad esasperare i nostri timori. Nel caso della dipendenza affettiva la paura della solitudine diventa l’incubo peggiore, la dannazione totale. E come una profezia che si autoavvera: più la si nega più ci si sente fagocitati da essa, più la si teme e più ce la si ritrova davanti.
Chi soffre di dipendenza affettiva non sa stare in modo adulto nelle relazioni perché non tollera non solo la solitudine ma nemmeno l’essere da solo insieme a qualcuno: se il partner si distrae si sente abbandonato, per il dipendente la relazione è fusione e non incontro.
Incontrare infatti significa “trovare davanti a sé” e perché avvenga un incontro entrambi i partner devono esser differenziati e definiti in modo da potere tollerare la fusione, la separazione in presenza dell’altro e la solitudine. Il dipendente affettivo è bloccato perennemente al livello indifferenziato della fusione. Vorrebbe essere sempre un tutt’uno con il proprio partner.
Ecco perché fa così fatica a parlare di sé se non in relazione al proprio partner. Parlare di sé significa accostarsi alla propria persona, alla propria solitudine, viverla, lasciarsi attraversare da essa, accoglierla.
La propria solitudine non è una bestia nera da scacciare, anzi è uno spazio necessario e fondamentale per la crescita affettiva personale. Come tutte le paure anche la paura della solitudine tende ad essere percepita spaventosa da chi non è abituato a viverla.
Se vi ritrovate in queste dinamiche provate a soffermarvi di più su voi stessi, partendo da piccole esperienze di solitudine, dove fate qualcosa da soli per voi stessi. Inizialmente potete aiutarvi con l’immaginazione. Partite da situazioni minime e poi procedete un passo per volta. Provate ad accogliere le emozioni che scaturiscono da questa nuova esperienza con voi stessi, prendetevene cura. Un po’ alla volta incomincerete ad apprezzare sempre di più questi momenti di intimità con voi stessi, smetterete di vederli come fallimenti abbandonici e troverete in essi momenti di creatività, autorigenerazione e nutrimento interiore.
Nel momento in cui cominciamo ad apprezzare la nostra solitudine, smettendo di temerla, creiamo le premesse per la nostra emancipazione verso un rapporto più maturo, più gratificante e più sano con noi stessi e con gli altri.
“Restaurare la funzione indispensabile del saper esser da soli facilita anche la riscoperta della gioia di una fusione totale nonché il piacere di convivere in una relazione di coppia, dove non ci si dovrà sempre aspettare qualcosa dall’altro o fare qualcosa per l’altro, ma dove poter esistere nell’altro, con l’altro e senza l’altro.” (Borgioni, 2015).
Bibliografia:
Borgioni (2015) Dipendenza e controdipendenza affettiva.
Ghezzani (2015) L’Amore impossibile. Affrontare la dipendenza affettiva maschile e femminile.