In questa serie di articoli vorrei parlare di quei “fastidi” diretti o indiretti di cui facciamo esperienza quotidianamente e che derivano dal rapporto con colleghi, amici, partner e figli. Il modo di comportarsi del collega di lavoro, l’atteggiamento di un caro amico, il comportamento del proprio partner, le scelte ritenute inadeguate dei propri figli. Queste così come tante altre situazioni simili ci accadono quotidianamente e non sempre troviamo il “modo più adatto” per poter esprimere ciò che proviamo in quel momento. Quando parlo di “modo adatto” mi riferisco ad un tipo di comunicazione che mi consenta di rispettare i miei bisogni e i desideri profondi e al tempo stesso consenta al mio interlocutore di sentirsi rispettato.
Le relazioni per mantenersi nel tempo hanno bisogno di essere nutrite e coltivate e perché ciò avvenga è molto importante riuscire ad essere il più possibile autentici, riuscire ad esprimere ciò che proviamo e quindi anche ciò che ci genera fastidio o che ci irrita. Se non diciamo espressamente ciò che proviamo non possiamo trovare nè ascolto nè comprensione: non possiamo sperare che il nostro interlocutore ci legga nella mente!
All’interno di una relazione, l’espressione dei propri bisogni e quindi delle proprie emozioni rappresenta il legno che consente al fuoco di continuare ad ardere. Se non aggiungiamo legna, la fiamma prima o poi si esaurisce, la relazione si inaridisce e si appiattisce. Oppure dopo un apparante periodo idilliaco uno dei due partner potrebbe esplodere improvvisamente, riversando sull’altro tutto ciò che ha incassato nel tempo e non ha mai espresso. Reprimere il proprio fastidio è deleterio per noi stessi, per l’altro e per la relazione. Le emozioni non espresse possono accumularsi nel corpo, sottoforma di tensioni, contratture o sintomi psicosomatici. Oppure possono trasformarsi in ansia e pensieri fissi che apparentemente non hanno nulla a che fare con il partner, ma che in realtà sono l’espressione di un disagio relazionale. Io stessa mi ritrovo spesso a riflettere su queste questioni poichè in passato mi è capitato in alcune relazioni di sopportare più di quanto desiderassi profondamente, finendo poi per “servire il conto” quando il livello di sopportazione aveva superato la mia soglia di tolleranza.
Al tempo stesso, non sempre esprimere il proprio malcontento è sinonimo di autenticità e di rispetto nei confronti di se stessi e degli altri. Dentro ognuno di noi, in misura differente in base alle nostre esperienze infantili, si trova un piccolo “giudice ipercritico” che ci porta a commentare negativamente tutto ciò che ci infastidisce. A volte il giudice ipercritico prende il sopravvento rispetto ai nostri bisogni più autentici e ci porta ad assumere atteggiamenti sprezzanti e ipercritici nei confronti degli altri. Anche in questo caso non stiamo rispettando la nostra autenticità, l’altro e la relazione. Ogni volta in cui ci lamentiamo e brontoliamo in modo ipercritico stiamo dando voce al nostro giudice ipercritico interiore che ci illude di metterci un gradino sopra gli altri. Fateci caso, emettere giudizi su gli altri ci fa sentire più saggi di loro, smascheriamo il loro lato ignobile, lo chiamiamo per nome e pensiamo di dimostrarci migliori. Ma saremmo veramente pronti ad agire in modo diverso se fossimo al posto degli altri? Criticando tutto e tutti ci eleviamo moralmente al di sopra dell’oggetto dei nostri attacchi ma nel nostro profondo non ci stiamo rispettando poiché con questo atteggiamento sappiamo benissimo che non cambieremo la situazione, vogliamo semplicemente sentirci un po’ meglio per attimo, e poi? Poi succede che veniamo accusati di esser eccessivamente puntigliosi, aggressivi, bastian contrario ma di non esser in grado di proporre alternative costruttive. Ci manca il coraggio di affrontare realmente le situazioni, l’ipercritica non è altro che una protezione, una bolla dorata che ci impedisce di entrare autenticamente in contatto con gli altri e con quella parte di noi stessi che vorrebbe veramente sentirsi rispettata e riconosciuta.
Quindi, vi chiederete, quand’è che dobbiamo esprimere il nostro fastidio?
Non esiste un DOVERE, non dovete nulla. Esiste un volere, un sentirsi, un ascoltarsi, un essere sintonizzati con se stessi. Ma non esistono nè obblighi né prescrizioni. Indubbiamente comunicare all’altro un proprio fastidio o fare una critica costruttiva è un lavorone! Richiede impegno, autoriflessione, e un pizzico di esercizio ma è molto più semplice e soddisfacente sia dell’ipercritica che della repressione emotiva.
Partiamo innanzitutto da quelle situazioni in cui non è necessario e utile esprimere il proprio fastidio. In primis: le questione private altrui. Si tratta degli affari privati degli altri, delle scelte sentimentali dei vostri amici, di quelle lavorative dei vostri fratelli, così come le scelte dei vostri figli o le abitudini alimentari del vostro partner. “Ma come posso non dirgli nulla, lo faccio per il suo bene!!” Fermatevi, fate un respiro profondo e lasciate che ognuno viva come meglio crede. Non siete obbligati nè a controllare né a correggere il modo di vivere altrui, non li salverete con il vostro intervento e nè tantomeno li cambierete. Con il vostro commento rischiate tuttalpiù di farli sentire inadeguati e incapaci di badare a se stessi. Quindi stoppatevi e chiedetevi “In quale momento le faccende altrui iniziamo a coinvolgermi così tanto? Come mai sento impellente il bisogno di intervenire? Cosa temo possa succedere se non lo faccio?” Spostate la vostra attenzione dall’esterno, all’interno, guardatevi e ascoltatevi.
Inoltre provate ad accettare ciò che oggettivamente non potete cambiare e ignorate ciò che al momento non ritenete importante.
Bene ora ipotizziamo che il fastidio che avete sentito durante la conversazione con un vostro amico abbia toccato la vostra parte più autentica, abbia a che fare direttamente con la vostra relazione e ritenete sia importante. Riconoscete che il fastidio provato è significativo e che per il bene della relazione non è il caso di soprassedere. Al tempo stesso temete terribilmente di ferire il vostro amico, temete di creare un contrasto, avete paura che lui poi non si fidi più di voi e possa allontanarsi. Probabilmente siete persone molto empatiche, bisognose di armonia. Troppo spesso questa vostra estrema sensibilità vi porta a perdere di vista i vostri bisogni e di conseguenza rischiate di deteriorare una relazione a cui tenete particolarmente. Vi ritrovate a sbottare, mesi dopo, rinfacciando all’amico tutti gli arretrati, lui vi prende per esagerati e il rapporto si incrina. Oppure non dite mai nulla e ad un certo punto provate talmente tanta rabbia nei suoi confronti da decidere di non volerlo più frequentare, smettete di chiamarlo, non vi fate più sentire e venite accusati di assenteismo.
Ricordatevi che la vostra comunicazione è un aiuto per tutti! Comunicando al vostro amico il disagio che provate gli state facendo un favore. Gli consentite di non brancolare nel buio, gli date la possibilità di conoscervi veramente.
Quando avvertite quel fastidio non soffocatelo con frasi del tipo “un attimo e tutto torna come prima” o “non c’è bisogno di agitarsi, niente di grave” o “stai tranquillo, ci penso io, è tutto sotto controllo”. Ascoltatelo, non giudicatevi per averlo sentito! È un vostro diretto, è ciò che di più autentico potete fare per voi stessi e per gli altri.
Ora, cosa possiamo farne di questo fastidio? Come possiamo esprimerlo?
Cercate di esprimerlo finchè è ancora limitato. Rimandando il momento di parlare, anche il minimo disagio si trasforma in un problema enorme. Per questo approfittate della prima occasione per comunicare ciò che vi irrita.
Provate a trovare un vostro modo di comunicare che vi faccia sentire a vostro agio. Ad esempio ci sono persone che usano l’ironia, in modo però delicato e al tempo stesso diretto. Trovate il modo che sentite più consono per voi.
Non accusate l’atteggiamento dell’altro ma fate capire all’altro come vi sentite voi. “Quando ti comporti così mi sento confusa, puoi essere più chiaro?” piuttosto che “Ma cosa stai dicendo? Come cavolo parli? Non si capisce niente!!”. Con la prima frase stiamo rispettando noi stessi, poiché non stiamo dicendo che siamo noi ad essere persone confuse ma stiamo facendo capire all’altro con gentilezza che è il suo comportamento che ci scatena quello stato d’animo. Nel secondo caso invece attacchiamo l’altro e lo giudichiamo, diamo sfogo al nostro giudice ipercritico.
Spesso prima di agire ci si ritrova a pensare agli esiti catastrofici del proprio intervento. Ricordatevi che state facendo un favore a voi stessi, all’altro e al vostro rapporto. Provate e osservate cosa accade dopo che avete comunicato il vostro disagio.
Comunicare un disagio non provoca alcuna catastrofe. Non ci saranno scontri ne tanto meno rotture. Ci potranno essere scambi di battute che sono necessari per consolidare la relazione, per apportare legna al fuoco. E se proprio l’altro dovesse reagire in malo modo “Ma cosa stai dicendo! Non puoi infastidirti per così poco” ricordatevi che è un vostro diritto esprimere il vostro fastidio in modo assertivo e che è l’Altro in questo caso che non riesce a sintonizzarsi con voi, che non riesce o non vuole abbandonare il proprio giudice ipercritico per avvicinarsi a voi in modo coraggioso e autentico.
Bibliografia
Piccolo manuale per imparare a fare e a ricevere critiche, di B. Berckhan.
Immagine: Henri Cartier Bresson Photography