3 passi per dialogare con la propria rabbia

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3 passi per dialogare con la propria rabbia

rabbia

Quando siamo in contatto con noi stessi agiamo in modo coerente, riusciamo a portare le cose a termine e se non ci riusciamo cerchiamo di imparare. Riusciamo a compiere i passi necessari per esprimere le nostre idee e la nostra creatività. Riconquistiamo la concentrazione, seguiamo i ritmi personali, ci avviciniamo di più agli amici e ai compagni scegliendo per noi relazioni che nutrono la nostra vita. E al tempo stesso ci diamo da fare per nutrire gli altri.

Un altro aspetto molto importante legato alla padronanza con noi stessi è rappresentato dal modo in cui gestiamo la nostra rabbia. Reprimere la collera non funziona, in qualche modo e/o sotto forme diverse essa si ripresenta e bussa alla nostra porta.

Il primo passo fondamentale è il riconoscimento della rabbia quando la proviamo, è un primo atto di rispetto nei confronti di noi stessi. Possiamo usare la nostra collera come luce per vedere ciò che di solito non riusciamo a vedere. Quest’emozione, come tutte le altre esiste con uno scopo ben preciso e può farci da maestra, può consentirci di apprendere e affrontare situazioni interiori, agire cambiamenti o lasciar perdere. Perché ciò sia possibile dobbiamo comprenderne il significato piuttosto che sottometterci alla sua “furia distruttiva”. Chi soffre di rabbia cronica ha appreso ad utilizzare quest’emozione come scudo, come difesa da un mondo esterno percepito come pericoloso e inaffidabile; in questi casi la rabbia ha perso la sua funzione adattiva e assume un ruolo che seppur difensivo può diventare controproducente. Chi usa la rabbia come scudo probabilmente ha smesso di sperare, si mostra cinico e rassegnato. Dietro il cinismo di solito c’è la rabbia, dietro la rabbia il dolore e infine dietro il dolore ci sono traumi o microtraumi subiti nel passato.

Il PRIMO PASSO: invitare la rabbia a sedersi accanto a noi

Ci sono persone che appunto soffrono di rabbia cronica, usata come difesa dal mondo circostante. Al tempo stesso ce ne sono altre che negano la propria collera, cercano di “comportarsi bene” per non trovarsi invase dalla rabbia ma soffrono e/o fanno terra bruciata per chilometri attorno a loro. In entrambi i casi l’energia creativa della rabbia viene dispersa senza riuscire a fare luce sulle utili informazioni che essa ci trasmette.

Ora vi chiedo di invitare la vostra parte arrabbiata al tavolo con voi e provate a scambiarci una chiacchierata. Probabilmente all’inizio non avrà voglia di parlarvi e resterà seduta lì a prendersela con tutti e/o con se stessa. Se la rabbia è molto intensa possiamo temporaneamente parlare di altro e allontanarci dalla situazione critica. Poi è importante riprovare a dialogare con questa parte di noi, chiedendole espressamente “che cos’è che ti fa arrabbiare così? Come ti sei sentita in quel momento? E dopo? Come ti sarebbe piaciuto reagire? Cosa mi sta dicendo questa parte di me?”.

Il  SECONDO PASSO: l’intervento della GUARITRICE INTERIORE

Vogliamo imparare ad usare la nostra rabbia come forza creativa, per cambiare, sviluppare e proteggere. Se è vero che talvolta ci occorre dare libero sfogo alla collera prima di passare ad una calma istruttiva, questo bisogno deve esser in qualche modo contenuto altrimenti è come gettare un fiammifero acceso sulla benzina. Ecco che a questo punto possiamo chiedere alla nostra parte più saggia, la guaritrice interiore, di intervenire. Il compito della guaritrice è quello di smascherare tutta una serie di credenze disfunzionali e di illusioni legate alla proprio rabbia. Ad esempio molti noi potrebbero pensare “Se smetto di arrabbiarmi così tanto cambierò e sarò debole”, in questo caso la prima parte è vera mentre l’ultima no; oppure “Ho appreso la mia collera da mia madre (o mio padre o mio zio ecc) e sono destinato a reagire così tutta la vita” anche in questo caso la prima parte può aver un fondamento vero mentre la conclusione è errata. Fare intervenire la propria guaritrice interiore significa consentire a se stessi di mettere in discussione convinzione come queste, erronee e in grado di alimentare l’espressione della rabbia cronica.

Il TERZO PASSO: sintonizzarsi con il proprio dolore

Come dicevamo all’inizio dietro tanta rabbia c’è tanto dolore, quindi se vogliamo smettere di usare la rabbia come difesa dobbiamo imparare a sintonizzarci con il dolore sottostante. In che modo? Cominciando a farci domande del tipo “perché mi fa così arrabbiare il suo comportamento” risp: “Perché non mi sento rispettato!” e ancora “e come mi fa sentire non esser rispettato? Mi è già successo in passato?”. Se ci diamo la possibilità di ripercorrere con la mente tutte le volte in cui abbiamo sperimentato quello stato emotivo probabilmente andremo a recuperare episodi accaduti molto tempo prima, magari apparentemente dimenticati, e nei confronti dei quali abbiamo fatto finta di niente. “La rabbia è il risultato di fantasmi che non riposano in pace perché nessuno se n’è occupato”. E’ come se avessimo imparato a sopprimere quel dolore attraverso lo scudo della rabbia, così facendo non ci siamo dati la possibilità di esprimere quel dolore e di soffrire per quella parte di noi che in passato ha provato dolore. Imparare ad esser gentili con se stessi, riconoscere e sintonizzarsi con la propria sofferenza non significa esser deboli ma avere il coraggio di guardarsi dentro e prendersi per mano.

La rabbia nei confronti di qualcuno continua a tenerci legati a quella persona, molte nostre energie sono ancora concentrate su di esso/a, su cosa fare, su cosa dire, su come fargliela pagare o sul tenere le distanze da lui/lei.

Più riuscite a sintonizzarvi su voi stessi, comprendendo la sofferenza che ha prodotto l’offesa e più vi accorgerete di non provare più rabbia nei confronti dell’altro ma pena. Non vi resterà nulla da dire e preferirete restarne fuori. Sarete liberi, liberi di andare. Probabilmente non ci sarà il lieto fine che avevate sperato ma di sicuro potrà esserci un nuovo inizio.

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